Anni fa sull’isola di Stromboli, il mio In Utero vulcanico, entrai nella bucolica Libreria sull’Isola per curiosare – curiosare è la mia perdizione di vita – e conoscere i giovani librai con i quali feci immediata amicizia, sconvolgendoli con la richiesta del libro In Culo Oggi No della scrittrice cecoslovacca Jana Černá.
La copia non l’avevano, ma da sensibili librai compresero di trovarsi davanti un’avida e peculiare lettrice con una predilezione per le scrittrici ribelli e libertine del Ventesimo secolo. Mi consigliarono il libro Piccoli Amori (1912) della Contessa Franziska zu Reventlov, ardente sostenitrice dell’amore libero che scriveva Facevamo continuamente feste d’addio, perché ogni giorno poteva essere l’ultimo.
Alcuni uomini volevano salvarla, altri sposarla, ma lei non ci cascava, li considerava tutti senza complicazioni. Franziska era una donna esuberante, anticonformista, dotata di un’insaziabile gioia di vivere, amava collezionare esperienze amorose, arrivando ad amare anche più di un uomo alla volta. Franziska rappresentava la personificazione della liberazione sessuale, venerata come un’autentica eroina erotico-sociale per la sua mancanza di autocontrollo e la sua promiscuità sessuale.
Ironica e disincantata, guardava con distacco alle pretese maschili di possesso, monogamia e fedeltà, e raccontava l’erotismo come assoluta ragione/religione di vita. L’unica religione alla quale io stessa sono devota, fintanto fondamentalista. Amo definirmi un’Idduista, da Iddu, il vulcano di Stromboli. E Iddu sa che ogni giorno potrebbe essere l’ultimo, come ci ha possentemente dimostrato il passato 3 luglio con la sua eruzione. Io c’ero. E il giorno prima, 2 luglio, data del mio compleanno, ero ascesa all’alba in solitaria alle sue fumanti e sbuffanti bocche.
Sulla nera roccia venti anni fa danzando, meglio dervisciando lasciva sulle sue pendici, sedussi un giovanissimo biondino. Lui aveva 16 anni. Io 28.
Call me Mrs. Robbie-&-Son. Sospendete il giudizio. Non c’è alcuna vittima per darmi in pasto al famigerato #MeToo: il biondino fu, e lo è ancora oggi, dissolutamente consenziente ai nostri incontri/scontri carnali. Così estremi e stremanti da chiamarli ‘round’ al pari di quelli della boxe. Perché quando iniziamo, di solito con casuale non appuntamento a notte inoltrata, non ci fermiamo fino a quando i nostri corpi straziati di sesso si accasciano privi di sensi uno sull’altro. Come due combattenti. Redenti nella perdizione.
In quella notte infuocata, io, Maria Maddalena strombolana, (s)ballavo a piedi nudi sulla sabbia nera, in carnale simbiosi con musica e natura. Dimentica ma consapevole del desiderio che fomentavo. Gli comandai d’incontrarci a mezzanotte alla Chiesa Rosa in fondo all’isola. Arrivai scalza in candida camicia da notte di lino bianco. A Stromboli non c’è illuminazione per le stradine e allora non esistevano telefonini a illuminare artificialmente la strada di vita.
Arrancavamo nel buio. Beatamente disconnessi. Camminai nell’oscurità con una candela tra le mani.
Nel notturno silenzio attesi il biondino. Il piccolo amore estivo non tardò a venire. A me. Eccitato e intimorito. Davanti alla casa del Signore, gli presi la mano e lo condussi alla casa della Signora. Un cubo bianco sul mare. Salvandolo dalle libidinose perversioni clericali, lo iniziai ai piaceri, mai peccati, dei sensi liberi e liberati dal fottuto sesso di colpa di stampo catto-bigotto. Facemmo l’amore tutta la notte. Sono vent’anni che facciamo l’amore. Tutta la notte. Che scopiamo duro e puro. Che ci stramazziamo e stordiamo di passione. Che ci ricerchiamo spasmodici nelle notti. Isolane. Urbane.
Due animali allo stato brado, perversi, viziosi, ingordi. Di vita.
Non è solo la visione del suo viso angelico e del suo corpo tonico e glabro a provocarmi una dirompente eccitazione ma la consapevolezza che tra noi non sussiste alcuna complicazione sentimentale, se non un profondo affetto maturato negli anni. I nostri sono incontri votati al piacere di entrambi, infusi di spregiudicata libertà. Nessun giudizio, se non il supplizio dei sensi. Fui io a instradarlo al sesso. Poi la strada l’ha percorsa e trascorsa in svariate femmine che hanno contribuito a renderlo un amante superbamente perverso. Si sente la sua natura ferina e priva di compromessi. Non conosce limite. Non ha alcuna remora. Per lui ogni parte del corpo è fair game. Non si priva di nulla. Non ti molla nulla. Sappiamo dare piacere perché amiamo il piacere. La nostra è furia dei sensi e dei sessi.
Siamo due vulcani e su quell’isola scopiamo ogni anno. La passione erutta. Il sesso sconvolge mente e corpo. Ardente, sordido, crudo. Non sussiste alcun segreto tra noi. Ci raccontiamo amanti, marachelle, vizi. Ne ridiamo. Non c’è alcuna gelosia. Nessun possesso. Solo ossesso dei corpi. Dissoluta comunione di lussuriosi sensi. Il sesso ci intriga e rivela. A noi piace hard.
A Stromboli facciamo l’amore nella sua casa sul mare fino alle prime luci dell’alba quando spossati e sudati, intrisi di ogni liquido, ci buttiamo nudi in acqua per lavarci. Nessun peccato da sciacquare via. L’unico peccato sarebbe privarsi di un simile Nirv-anale.
Il nostro post-orgasmic chill è la dolcezza. Ma prima del chill c’è il thrill. Quell’elettrizzante montagna russa sessuale tra abissi di sottomissione e vertici di dominazione. Amo sentirmi soffocata dalle sue dita, dalle sue mani, dal suo sesso. Penetrata a forza e a foga in gola, in figa, in culo. Amo che sappia dominarmi a letto. Amo chinarmi per e su di lui. A quattro zampe. Al collare. Lui mi consente d’esplorare la devianza estrema di farmi sottomettere. Amo essere strattonata. Strozzata. Tirata per i capelli. Da lui. Il tutto in una disperata complicità erotica. Siamo promiscui di natura e ricerchiamo lo sballo dell’eccitazione.
Il sesso è la droga più inebriante e irrinunciabile al mondo.
Fatevi.
Bene.
Come scrisse Jana Černá:
In culo oggi no
mi fa male
E poi vorrei prima chiacchierare un po’ con te
perché ho stima del tuo intelletto
Si può supporre
che sia sufficiente
per chiavare in direzione della stratosfera…
Perché non posso scopare con Te usando tutte le parole volgari e morbose che conosciamo, parole che ti riempiono la bocca, per poi prenderci con pudore e quasi timidamente, e poi subito dopo cominciare a sghignazzare a tutto spiano fino a intruppare l’uno nell’altra tra risa convulse con le pance e coi culi?
Perché non siamo distesi su un fianco uno accanto all’altra e non ci lecchiamo a vicenda concentrati ognuno sul proprio orgasmo e sull’orgasmo dell’altro, arraparti per l’uno più che per l’altro?
Perché non sento il Tuo “aspetta” quando ho il Tuo uccello in bocca e perché non posso deridere questa taccagneria di sperma e di orgasmi e non appena schizzi dimostrarTi che è un risparmio più che insensato?
Perché non posso leccarTi tutto, stanco e quasi ormai impotente, leccarTi e arraparTi durante un bocchino lungo un’ora, infinito e spossante, che culmina in una convulsione un po’ dolorosa piuttosto che orgasmica, un bocchino che Ti terrà i sensi svegli fino al nervosismo e a tratti vedrai tutto così lucidamente come se nel letto fosse disteso qualcun altro e a tratti dovrai cedere un po’ al mio lavorio arrapante con dei leggeri scatti, un po’ per l’eccitazione, un po’ nel tentativo di eccitarTi, fingendola l’eccitazione?
E perché poi non mi sveglio accanto a Te e non ti salgo addosso ancora nel dormiveglia con gli occhi assonnati e non Ti scopo sotto di me grazie a un’erezione mattutina che non è dovuta solo all’eccitazione, non Ti scopo semidormiente e un po’ sorpreso e aggrappato con tutte e due le mani alle mie tette?
La scultura amorosa erotica è dell’artista russa Tatiana Brodatch
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