Ah Venezia … dove mi perdo e ritrovo tra calli, sestieri e campi e dove per scrivere devo esaurire le energie motorie che mi fanno girovagare senza meta trovando tutto ciò che non stavo cercando. Storia della mia vita. Nel bellissimo dialetto veneziano c’è una parola, marantega, che indicava la befana, la zitella, l’acida, la solita triade, insomma. Come mio solito, invece, io amo ridare dignità a parole e status connotati negativamente. Pertanto abbraccio con stupefacente gaudio il mio essere marantega incallita. E di sorelle di casta qui a Venezia ne ho trovate e ritrovate altre. Non è un caso che proprio in questa città, da secoli aperta a culture, religioni e razze variegate, già nel XV secolo si fosse stabilita una forte presenza di donne libere e fuori dagli schemi. Sto infatti leggendo un interessantissimo libro intitolato The Unfinished Palazzo: Life, Love and Art in Venice che narra le storie di tre donne straordinarie che nel ventesimo secolo vissero in laguna nel famoso Palazzo Venier dei Leoni, oggi sede del Museo Peggy Guggenheim: Luisa Casati Stampa, soprannominata la Divina Marchesa, musa e amante di D’Annunzio, Doris Castlerosse Delevingne, sensuale socialite inglese dotata di prorompente carisma sessuale e Peggy Guggenheim, collezionista d’arte e mecenate d’artisti. Per la sua storia cosmopolita e libertina, Venezia ha sempre rappresentato un porto sicuro per anime ribelli e anticonvenzionali. Non mi stupisce, quindi, che anche il mio essere sopra le righe e impossibile da catalogare in qualsiasi schema abbia incontrato qui il suo buen retiro dell’anima. E noi anime stralunate sappiamo annusarci a distanza e riconoscerci. Così è stato in quest’ennesima parentesi veneziana. Dove sono sbarcata portando con me Mercedes, amica argentina, ben maritata e con tre splendide bimbe, che ha temporaneamente “abbandonato” per cercarsi e concedersi una meritata pausa dal quotidiano. La ricerca di uno spazio personale per ogni donna è essenziale. Un luogo dove ritirarsi e ricaricarsi. Quasi Una Stanza Tutta per Sè per citare il saggio della scrittrice Virginia Woolf che nel 1929 sosteneva “una donna deve avere soldi e una stanza tutta per sé per poter scrivere”. Qui in laguna abbiamo incontrato donne peculiari come noi, tra cui la mia amata vecia, la Neva, trevigiana d’adozione strombolana quasi ottantenne dalla tempra e lo spirito indomabili, Silvia, disciplinata ballerina/girotonica veneziana/strombolana, Debbie, buffa e sensibile amica somalo/meneghina ormai giudecchina, ossia residente in quella folle comune dell’isola della Giudecca, Natascha, sensuale e impavida cantante lirica ebreo-austriaca, Nadia, compositrice napoletana di parole e poesie, Laura, tenace e sagace toscanaccia/veneziana anima del Bacaro Da Fiore, Barbara, mamma, moglie e proprietaria di una libreria romana dedicata alle donne e dulcis in fundo la pimpante e letteraria Barbara, guida trilingue dell’animo veneziano, conosciuta in calle perché riconosciuta fiutandola come una di noi. Alcune sono sposate, altre hanno figli, alcune sono zitelle, altre innamorate … Ad accomunarci non è lo stato civile (o incivile, nel nostro caso), bensì un’acuta curiosità di vita, una profonda sensibilità e un pizzico di follia. Siamo delle sin verguenza, non conosciamo vergogna perché non ci vergogniamo di come siamo. Affrontiamo la vita con spirito indomito, la coloriamo di sfrenate risate, la condiamo con fugaci incontri e la rallegriamo con la nostra joie de vivre. Ognuna ci mette i propri ingredienti e la ricetta sarà sempre diversa, l’importante è che sia buona!
Insomma, in sei giorni d’incontri ne sono successi. Alla banale domanda: ‘Ma tu che fai nella vita?’ Io rispondo: ‘La vivo!’ un po’ alla ‘vedo gente, faccio cose’ alla Nanni Moretti. E non solo … io la racconto, la traduco, la narro. Essere cantastorie è un dono. Creando sinergie umane che alleggeriscono l’anima e arricchiscono lo spirito. Se solo noi donne riuscissimo a sostenerci nella sorellanza, nel non giudicarci a vicenda, nel non bastonare gli uomini (sono ‘solo’ uomini…), nell’abbracciare le nostre diversità riconoscendo soprattutto il nostro bisogno d’indipendenza ed emancipazione in qualsiasi ruolo una scelga, e non si faccia scegliere, per se stessa. Riconoscendo come chi ha marito e figli, e li ama, possa volersi regalare una fuga e chi non li ha, possa ogni tanto sognare di averli. Basta che funzioni. Whatever Works. A ognuna la sua ricetta di felicità. Io fatalità l’ho trovata. In me. In vostra compagnia, quando la voglio.
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