“La bocca è quell’organo sessuale che alcuni depravati usano per parlare” ( Woody Allen)
Fatalità è un’espressione veneziana che suona molto come ‘Se Dio Vuole’; togliendole ogni retaggio religioso, rimane il tema della casualità e del fato, di tutto ciò che succede nell’imprevedibilità, lasciandosi incantare dalla malia dei sensi sull’isola di Venezia, umida, bagnata, voluttuosa. Per il dissoluto Carnevale, ho trasportato le mie sculettanti natiche in laguna, luogo romantico e decadente, dove sono stata accolta da un amante di lungo corso: J. artista locale, uomo vanitoso e intrigante. Un amante che si muove consapevole di piacere, posseduto dallo spirito di un novello Casanova. J. si maschera solo per farsi spogliare e sospinge in me il desiderio di stuzzicarlo. Siamo due animali sessuali molto simili, raffinati nei modi ma dalla natura ferina, priva di compromessi. Il nostro rituale ricade ogni volta che torno in laguna e non prevede uscite, se non fugaci scorribande tra le calli, a notte fonda, per abusare del teatro misterioso di Venezia, scenario delle nostre perversioni en plein air. Genuflessa nel silenzio notturno davanti a J., placcato con le spalle e il culo al muro, accolgo il suo sesso nella mia bocca, facendomi prepotentemente scuotere testa e anima. Il rumore dei passi che da lontano si avvicinano mi eccita e fa aumentare il ritmo della mia bocca. J. esplode il suo desiderio nella mia gola e sulle mie labbra, che accarezzo, assaggiandole, con la lingua. Questo il nostro rituale saluto veneziano. Tuttavia, amiamo anche starcene rintanati nelle mura di casa, affamati dei nostri corpi. “Perché mangiare fuori quando ti posso mangiare dentro?” Come dargli torto… Godo nell’attesa di riceverlo, mentre, erotica, mi preparo ad accoglierlo nel mio nido e nella mia nicchia. Lenta, indosso guêpière nera di seta, sistemo le calze, scelgo un abito, mera copertura del vero costume indossato per lui: il mio corpo, nudo e vellutato. Stempero l’ansia dell’attesa preparando il nostro palcoscenico, coccolata dalla voce roca di Leonard Cohen, rilassata dal vino che riscalda le viscere. Mente e figa fremono immobili. Il sesso pulsa alla sola idea di quel suo sguardo enigmatico e intrusivo. Quando sento toccare alla porta, mi sollevo dal divano, sistemo la gonna, incedo sui tacchi e sento il mio sesso eccitato. Apro i sensi alla voluttà e alla nottata da amanti che si concluderà, come da rituale, alle luci dell’alba. Giro la chiave, lo vedo, sicuro di sé e spiritoso, brandire in una mano una bottiglia di Jack Daniel’s e nell’altra una barretta di cioccolato extra fondente. J. ama l’extra. In ogni sua, non canonica, sfumatura. Nei pochi secondi che intercorrono tra questo gesto e la sua entrata in casa, mentre mi accingo a versargli in un bicchiere un paio di cubetti di ghiaccio, le sue mani seguono il profilo dei miei fianchi e del mio culo. Senza proferire parola, mi sposta le mutandine, mi divarica le gambe e prima ancora di assaporare il cock-tail, gusta i miei voluttuosi fluidi. ‘Versa pure il whiskey mentre ti sorseggio, mia piccola libertina.’ Sì, sono la sua puttanella. L’attrazione ci fa tralasciare le banalità dei primi incontri e l’impossibilità di resisterci ci travolge subito. Mentre il Jack’s bagna il bicchiere, il mio liquore si versa nella sua avida bocca, l’appassionato bacio sulla bocca è subito condiviso sul mio sesso. Le mie cosce s’inumidiscono di lussuria e colano piacere. Con disinvolta abilità, mi chiede di sedermi su una poltrona a gambe divaricate. Obbedisco ai suoi ordini, eccitata e sottomessa. La sua lingua sulla mia figa è precisa e scattante, J. è un vero appassionato del sesso orale. Che va praticato lento e morbido, facendo ritmare la lingua sul clitoride, per poi aggiungere le dita intrusive ma non irruente. Senza fretta o ansia da orgasmo, ma concedendo alla donna il tempo di rilassarsi e rilasciare. La chiave per far venire noi donne è considerare il nostro ritmo sessuale, sentire la nostra figa pulsare e aprirsi alla lingua, alle dita, al cazzo. J. mi fa venire, provocandomi spasmi di crudo piacere, che sento solo quando l’orgasmo è potente. A stimolarmi sono anche le sue parole, altro indispensabile strumento d’erotismo. Mentre parla, coglie nei miei occhi un rinnovato lampo di desiderio e mi comanda di slacciarmi il reggiseno. Obbedisco, di nuovo. Si bagna le labbra di nettare del Kentucky, si avvicina e mi bacia il capezzolo, me lo succhia, me lo stringe, toccandolo con le bellissime mani. Lascio ricadere la testa all’indietro, emetto un gridolino di piacere, J. mi sbottona la camicia, vede la guêpière indossata per lui, mi solleva la gonna e adesso mi sfila del tutto le mutandine, inchinandosi un’altra volta su di me. La sua lingua s’insinua delicata sul mio sesso, lo circonda, lo studia, lo assaggia. Mi allarga ulteriormente le gambe e s’intrufola con maggior foga nel mio ventre, leccandomi e divorandomi. Io rilascio qualsiasi controllo residuo. Le parole mi abbandonano, sostituite da gemiti, insistenti e inebrianti. La passione che mi travolge è quella di J. perso nei miei umori. Lost in Cunt. Ogni tanto gli osservo il volto bagnato di estasi, percepisco ogni goccia di conturbante desiderio sulla sua lingua. La bocca mi accoglie spalancata. Come una marea che sale, ogni fibra del mio corpo confluisce dentro la figa e spazza via qualsiasi pensiero. Esiste solo quest’inebriante momento di apice sessuale. J. soffia sul mio ventre per placare gli spasmi, per rinfrescare la vampata orgasmica che l’ha infuocato. Io giaccio, di nuovo, spossata sulla poltrona. Primo round concluso. Mi piace paragonare i miei incontri sessuali ai round della boxe. Ci concediamo un po’ di riposo tra uno scontro e l’altro, pronti a riprendere la lotta dei corpi. J. sa bene cosa vuole e non è timido nel verbalizzare le sue esigenze: “Inginocchiati e venerami il cazzo.” Mi prende la testa tra le mani, l’abbassa su di lui, mi indica la punta del suo sesso, mi chiede di leccargliela, piano, tutto intorno. M’incita a scendere con la lingua lungo l’asta e ad assaggiarla, in gola e in testa, seguendo e sentendone la vibrazione, imponendo il suo sesso sempre più in profondità, fino a un principio di reflusso. Vuole che lo prenda tutto e me lo infila senza mezza misura, superando in un attimo la bocca. Come un direttore d’orchestra, J. accorda gli strumenti e armonizza la sinfonia, con la bacchetta. Le prove sembrano infinite e sfiniscono la discepola che s’inquieta. Indisciplinatezza prontamente redarguita e punita, quando la sua mano piomba severa sul mio culo. Scalciante e sbuffante, sono riportata all’ordine, come una puledra battuta perbene. Il tempo sembra dilatarsi, come le mie labbra, della bocca e della figa. Inizio a sentirlo, il suo ritmo e il suo cazzo, finalmente. Cantus Firmus. Accordo totale. Non sto più facendo un pompino, lo sto scopando con la bocca, stiamo facendo l’amore orale. I suoi ordini scemano, i versi s’impongono e il seme si scioglie in bocca inondandomi gola, labbra, collo. Intrisa dei nostri liquidi, lascio cadere il capo sui suoi fianchi. Così prostrata e inginocchiata, mi solleva il volto, rigato dal mascara colato, e mi bacia sulla bocca umida dei suoi sapori. Solo ai libertini puri è concessa una simile apoteosi di sensi. Ci addormentiamo nudi uno sull’altro, riposandoci nell’attesa di riprendere il duetto carnale allo spuntare dell’alba veneziana. Fatalità dei sensi …
1 Comment
La tua rubrica mi fa impazzire, non vedo l’ora del nuovo numero!!!!!!!