Tutti hanno bisogno della bellezza come del pane; luoghi in cui poter giocare e pregare, dove la natura possa guarire e rinvigorire il corpo come l’anima
Andare in montagna è tornare a casa di John Muir, naturalista e scrittore scozzese, soprannominato il “papà dei grandi parchi americani”. Piano B Edizioni, Prato.
Io sono andata in montagna e ho trovato la mia tana.
Sono andata fuori per starci dentro.
Il 18 maggio, quattro mesi fa (peso 58 chili ) oggi (peso 50 chili), quando hanno riaperto le gabbie della nostra esistenza confinata, ho lasciato la città per non farci più ritorno. Sono partita per i miei luoghi d’origine, Lago di Como e Lago Maggiore e lì sono rimasta riscoprendo la magia della natura in montagna, in Alta Valsassina.
Mesi di camminate, polenta, genuinità, vino, affetti, silenzio, natura. Che mi hanno rigenerato spirito, cuore, chiappe e soprattutto la mente, bombardata e stordita dall’eccesso di drugs – ansiolitici, sonniferi e compagnia brutta – con cui mi sono stordita ogni maledetto giorno durante il lockdown per sopportare l’ansia, la paura, la follia.
Siamo tutti drogati di qualcosa, ognuno di noi ha bisogno di un veleno – what’s your poison? – per navigare le tempestose acque delle nostre esistenze moderne. Le città sono insostenibili, autentiche giungle urbane con belve pronte a sbranarsi, in un ambiente stressogeno, elettrificato da troppe luci, troppi rumori, troppi stimoli.
Il ritmo di vita in città è tossico per il benessere psicofisico.
Almeno lo è per il mio perché io ho passato la vita a sentire il mio corpo, ad ascoltare il mio cuore, a indagare la mia mente.
Pertanto so di non poter più vivere in città. Altro che sana, ero Xanax.
In questo indegno mondo moderno, che si fregia a torto di essere illuminato, prevale la fallace e dannosa fede nel dio denaro, nel consumismo, nel materialismo. Tutta una fottuta illusione che porta a frustrazione e perdita di umanità. Il gregge smarrito diventa agguerrito e violento rincorrendo il nulla e finendo con il crepare di una vita non vissuta.
Voglio sentire la natura, respirarla, fintanto molestarla. Mi ci voglio perdere per ritrovarmi, deviare dal sentiero per deviazioni naturali e non artificiali, drogarmi di bellezza e avvicinarmi alla mia divinità: Mamma Natura.
I veri santuari dell’anima non vanno ricercati nelle artificiose costruzioni dell’uomo – chiese, sinagoghe, moschee – bensì nei pacificanti e rilassanti paradisi naturali: boschi, foreste, sentieri.
Non credo alle religioni dell’uomo: io sono un’animista fondamentalista. L’animismo è quella concezione tipica dei popoli primitivi – ritengo i primitivi superiori agli “evoluti” di oggi – secondo cui ogni fenomeno o cosa dell’universo è dotato di anima e di vita propria, spesso creduta divina o degna di culto.
All’università uno dei libri che più amai, fu Walden Ovvero Vita Nei Boschi incentrato sull’avventura dell’autore, Henry David Thoreau, rivoluzionario filosofo americano, che dedicò ben due anni, due mesi e due giorni (1845-1847) della propria vita a cercare un rapporto intimo con la natura e insieme ritrovare se stesso in una società che non rappresentava ai suoi occhi i veri valori da seguire, ma solo l’utile materialistico.
Non ambisco certo a seguire le sue degne orme – non vado mica a vivere su una roccia – ma da anni coltivavo il sogno segreto di mettermi alla prova, di rinunciare al tutto per il poco, di sfidare la milanese borghese in me a lasciarsi andare selvaggia e naturale.
Bisogna tornare in e alla natura, alla naturalezza contrapposta all’artificio e al “virtualizzazione”.
Fake news, influenSer nullità, dannose banalità – la notorietà è la cugina zoccola del prestigio diceva Michael Keaton nel film Birdman (The Unexpected Virtue of Ignorance) – invidie social, haters, revenge porn.
Infodemia e webetocrazia sono un virus malefico, fin più contagioso del Big Fucking C.
Orde di analfabeti funzionali, terrapiattisti, sciechimichisti, novax, negazionisti, fancazzisti, razzisti, rincoglioniti che sputano e sbraitano la loro atroce e truculenta ignoranza e tracotanza sulla rete.
Perdiamo tempo a leggere il nulla.
Life’s short.
E aggiungo imprevedibile. Straordinaria. Unica.
Da vivere e succhiarla appieno e in pieno.
Il mondo sta esplodendo e la gente implode.
Io erutto un primordiale e salvifico abbandono della città.
Mi sento una novella Cassandra – nel mio caso chiamatemi anche Cazzandra – che apparentemente lieve e svagata sorvola la superficie della vita mentre in realtà ne succhia il midollo sentendo nelle proprie sanguigne viscere il terremoto umano prima che succeda, come fanno gli animali.
Noi siamo animali. Io sono una bestia ferina e selvaggia. Percepisco nella mia allucinata e allucinante sensibilità ribollire di lavica rabbia questo “not-so-wonderful world”, che sgorga furia e furore.
A volte l’unico modo di rimanere sani è andare un poco fuori di testa
E’ una frase tratta dal romanzo La Ragazza Interrotta di Susanna Kaysen (1993).
Io sono una ragazza ininterrotta.
Una bulimica esistenziale.
Una vagabonda del Dharma.
Una ricercatrice cosmica come nella canzone Cosmic Dancer dei T. Rex.
Una ninfa-maniaca.
Forse la differenza tra me e le altre persone è che ho sempre chiesto di più al tramonto. I più spettacolari colori, quando il sole incontra l’orizzonte. Forse è questo il mio unico peccato.
(Joe – Charlotte Gainsbourg nel film Nymphomaniac di Lars Von Trier)
Ovunque nei miei cangianti mondi – sapendo più lingue, conosco più mondi, viaggiando da e per tutta la vita ho famiglie sparse frammentate arcobaleniche, comuni di selezionati e bizzarri affetti – il mio soprannome è spostata, fusa, loca, crazy…
Elogio della follia …
Ogni tanto bisogna andare fuori – dalla testa, dal corpo, dalla città, dalla virtualità – per starci dentro.
In e con noi stessi.
Non ci sono mai stata così dentro come ora che sono fuori. Dalla gabbia di una vita borghese, cittadina, ordinata che non mi appartiene.
Io non sono una radical-chic, io sono una radical-wild.
Il mio spirito punk ha eruttato. E’ stato Iddu, il vulcano di Stromboli, a tirarmelo fuori quando il 3 luglio 2019, dopo averlo asceso in solitaria il giorno prima per il mio rituale solitario di compleanno, fece il parossisma più potente da 50 anni a questa parte.
Mi salvai.
Così come mi ero salvata tre mesi prima, il 5 aprile, quando subii un’invasiva operazione all’utero durante la quale, per una serie di complicazioni, ebbi un’emorragia interna che richiese 4 estenuanti ore di prontissimo intervento.
Mi salvarono.
Asportandomi entrambe le tube di Falloppio grondanti sangue.
“Roberta, avresti potuto morire per emorragia interna in qualsiasi momento della tua vita.” Mi disse il mio favoloso dottore. Al quale devo la vita e l’utero …
Mi ricucì con 98 punti all’utero per non asportarmelo.
Ho vissuto l’anno più intenso, difficile, rivoluzionario, estenuante, “game-changer” della mia vita.
Ho perso due zie, Dede e Gabriella, alle quali ero legatissima.
Ho perso l’amica Camilla, morta a 25 anni il 25 dicembre 2019 di un cancro al cervello.
Adesso ne ravviso la potenza.
Sento di essere una sopravvissuta, anche a me stessa. Di aver trascorso 40 anni – ne ho 48 – a punirmi per essere stata una vittima.
Io vivo il disturbo post-traumatico – la risposta di un soggetto a un evento critico abnorme (terremoto, eruzione, uragano, abusi sessuali … checked, checked, checked, checked …) – da sempre.
Oggi il cerchio si chiude.
Oggi mi assolvo.
Oggi mi perdono.
Oggi mi rispetto.
Oggi mi proteggo.
Oggi mi fermo.
Oggi mi amo.
Oggi amo.
Oggi mi lascio amare.
Oggi mi concedo la fragilità.
Uscendone migliore da me stessa.
Salvandomi anche da me stessa.
Perché mi ascolto e mi conosco – conosci te stesso – essendomi indagata, e tagliata, intraprendendo il viaggio più avventuroso, coraggioso e tempestoso che si possa mai percorrere: navigare e approdare dentro se stessi.
Consapevole e responsabile, oggi 18 settembre scrivo il mio ultimo pezzo.
Vado a scrivere altro, vado a scrivere “alto.”
M’immergo nel rigore letterario nel mio studiolo abbarbicato sotto le pendici del vulcano sull’isola che c’è.
Che mi ha ridato me stessa, che mi ha fatto eruttare emotivamente eroticamente sessualmente, ridonandomi la capacità di godere e di amare.
Abbandono la città per disintossicarmi.
Dai rumori.
Dalle luci.
Dalla folla.
Dalla follia.
Dalle droghe.
Dai social media.
Dagli apericena.
Dal tanto rumore per nulla.
Dalla frenesia.
Dalla velocità.
Dalle cose.
Smetto di minare e minacciare il mio cervello dalle dipendenze.
Sono stata costantemente sintonizzata a condividere ogni attimo della mia vita.
Il primo e l’ultimo gesto che compivo era tenere la testa chinata su questi benedetti/maledetti schermi.
Senza più guardare il cielo.
Senza più osservare la strada.
Per questo sbandiamo sbagliando.
Senza più comunicare dal vero e dal vivo con le persone.
Senza più saper sentire e fare l’amore – qui mi chiamo fuori perché ho sempre chiavato nel reale trovando il sesso virtuale di una noia narcolettica – tutti assuefatti all’egemonia/noia del porno online. Sesso asettico.
Io lo voglio sporco, selvaggio, ruspante. E ridanciano.
Voglio sporcarmi le mani, il ventre, il corpo di sperma, di sangue, di terra, di sudore, di odore, di umori. E facendolo ritrovare la pace dei sensi e degli istinti, non più confinati nelle gabbie della “civiltà”.
I veri incivili sono coloro che negano, trascurano, fintanto manco conoscono, la loro vera natura. Che siamo animali e che come tali necessitiamo, per non annientarci, di rallentare questa corsa al massacro psicologico, economico, sociale, emotivo ma soprattutto ecologico.
Addio.
Io mi tolgo dall’equazione sociale e social.
La nostra capacità d’attenzione e di concentrazione ridotta sempre più a likes, commenti futili, leggiamo solo, se lo facciamo, titoli, strilloni virtuali, notizie clickbait, spazzatura verbale, vuoto cosmico.
Non riesco quasi più a finire un libro perché rispondo a un sms, commento una foto, posto un commento, rispondo al telefono …
Basta, non ce la faccio più.
Il cervello costantemente wired – elettrizzato ahimè non come cantava l’immenso David Byrne in Psycho Killer dei Talking Heads – non consente la noia che produce creatività.
Sempre connessi, stimolati, viralizzati, altro che virus.
Il vero bug è nelle nostre teste che stanno infatti andando fuori di testa.
Io alla giungla urbana preferisco quella naturale.
I am just an animal looking for a home sempre Byrne in This Must Be The Place: sono solo una bestiola alla ricerca di una tana.
Io l’ho trovata.
Qui sulla mia isola di fuoco.
Sotto le pendici di Iddu, il roboante e vivente vulcano, mi sento più protetta e distante dal pericolo della brutalità dell’essere umano.
La natura è la mia religione.
La passione la mia devozione.
Stromboli il mio ventre materno.
L’isola è femmina, prepotentemente donna.
Io oggi (ri)divento DONNA, come diceva Simone de Beauovoir ne Il Secondo Sesso: Donne non si nasce, si diventa.
Sono bellissima perché non mi sono mai prima d’ora sentita.
Così bella.
Calda. Ardente. Infiammata.
Lunare. Fluttuante. Liquida.
Spossata, mai sposata, di vita.
Ritorno vergine d’amore … come Teresta Batista Stanca di Guerra, protagonista del libro dello scrittore brasiliano Jorge Amado.
I libri mi hanno salvato la vita.
Ho iniziato a leggere a 5 anni e non ho mai smesso.
Ho trovato il mio antro dell’anima in uno studiolo isolato sulla montagna e immerso nella natura isolana con privilegiata vista su Iddu che apparteneva a un tedesco di nome Wolf pazzo per i vulcani.
Lo chiamavano il Mosè dell’Idduismo, la pagana religione alla quale io dedicai un urlo appassionato.
Wolf, lupo, e io Miss Wolfa, lupa mannara in questa lisergica dimora, vissuta poi da una famiglia hippy austriaca, amante dell’animismo, rinasco.
Mi rigenero corpo, mente, ventre.
Io non sono in vacanza.
Questa è la mia vita e questo il mio luogo.
Io faccio la vita.
Non l’attendo.
Non la rimando.
Voglio riappropriami di una vita epica, erotica, eroica, eretica.
Per chiudere il cerchio, concludere il mio capitolo di vita urbana e accettare, senza più accettarmi le vene, la mia nuova fase di vita in natura.
Ritrovandomi dopo essermi persa sulla strada di vita e sui sentieri, arsa da deviazioni che non saranno più artificiali ma solo naturali.
Vi ho fatto felici con la mia bocca di rosa.
A parole.
A post.
A risate.
A parigine …
Lasciatemi riposare la favella per donarvi la novella.
Da Stromboli, passo e spalanco le porte della percezione.
Tanto abbiamo James Brown a proteggerci sulla Sciara del Fuoco!
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