Che pena certe donne… Siete state mollate? Siete state umiliate? Siete state tradite? E ve la prendete con l’altra, l’amante? Eh no, scrisse la paracula, notoria terza della coppia. Ma non appunto per pararmi il culo dalle critiche, che sono bravissima a rimbalzare e a gestire, ma perché, in caso di corna e abbandono, non prendetevela con l’esterna, ma prendetevela con lui, il vostro fedifrago marito/compagno/partner. Fate come me. Fategliela pagare. E servitegliela fredda e spietata, la vendetta …
In Dublin’s fair city where the girls are so pretty… dice la famosa canzone irlandese Molly Malone. E io pretty woman arrivai a Dublino a 18 anni nel 1990 e nel 1992 ci andai a vivere per qualche mese abitando in una sorta di comune. Erano gli anni della scoperta e dell’assoluta libertà. Sedussi musicisti, barman, scrittori. Insomma, a good bunch of artists! Viaggiai in lungo e in largo, andai a Belfast per redigere la mia tesi sui Troubles, conobbi militanti e simpatizzanti dell’IRA, giunsi nelle incantate isole di Aran finendo a cantare canzoni gaeliche con i vecchi del luogo. Il tutto ovviamente condito da generose dosi di pinte di birra. E poi un bel dì mi innamorai. Per la prima volta. Lui era il barman del Bruxelles Pub off Grafton Street, luogo che divenne la mia casa e la mia tana. Eravamo giovani, io 20 anni, lui 24, appassionati, sognatori e anime folli. Dopo mesi di dolcissimo amore, dovetti tornare a casa ma solo per comunicare ai miei esterrefatti genitori che mollavo l’università a Milano per trasferirmi a Dublino dal mio amato. Sono sempre stata un tantino impulsiva. Ahimé quando ripartii durante le vacanze natalizie per ricongiungermi a lui, del mio seducente dublinese non trovai traccia in aeroporto. Capii subito che s’era dato. Rimasi abbacchiata e piagnucolosa sulle mie valigie fino a quando non trovai la forza di fare una telefonata alla mia famiglia irlandese d’adozione che venne in massa a raccogliere la sedotta e abbandonata. Ricordo che ai tempi non c’erano cellulari, social media e quant’altro. Quindi cercai di contattarlo nel pub dove lavorava, quantomeno per mandarlo a FUCK OFF, ma non rispose mai al telefono. Gli scrissi lettere che rimasero senza risposta. Devastata dall’assenza e dall’abbandono, feci ritorno con la codina tra le gambe in Italia. Ero giovane, era stato il mio primo amore che presto si tramutò nel mio primo dolore. Il mio primo cuore spezzato. Soffrii così tanto da privarmi di tutto. Cibo, università, sorrisi, vita. Dimagrii molto (cazzo da innamorata mi allargo). Tentai in ogni modo di mettermi in contatto con lui, umiliandomi. Nulla. Finché non ricevetti una lettera dove mi confessava di essersi disinnamorato. Oggi mi rendo conto che può succedere, allora non lo accettai. Avrei voluto accettarlo. Sì, con l’accetta però! Dopo circa nove mesi tornai sul luogo del delitto, meditando atroce vendetta. Sottile. Affilata. Raffinata. Pensai di presentarmi nel pub dove lavorava (strano mi innamorai di un barman!) con una pistola (finta) e fingermi Monica Vitti in La Ragazza con la Pistola. L’unica pistola ero io. Nel 1992, oddio anche oggi, estrarre un’arma in un luogo pubblico a Dublino non sarebbe stata una brilliant idea! Tuttavia la mia vendicativa mente non smetteva di scervellarsi su come fargli pagare la sofferenza che avevo provato. In quegli anni portavo i capelli lunghi con tinta rossa henné (be’ in Irlanda le rosce tiravano di più), indossavo abitini hippie e calzavo stivaloni courreges con zeppa, una sorta di flower child con spruzzatina alla Charles Manson. What a combo! Un pomeriggio, mentre ero a passeggio e cazzeggio a Grafton Street in centro città, mi ritrovai davanti alla vetrina di un Joke Shop, quei negozi che vendono articoli per Carnevale, dove vidi esposta una finta pancia per sembrare incinta. Costava 4 pound e 95 cent. Ecco, la comprai … Meglio, la indossai direttamente nel negozio sotto lo svolazzante abitino da figlia dei fiori, andai alla cassa, pagai e mi tenni la panza per uscire. Vi lascio immaginare lo sguardo allibito del commesso … E iniziai a calarmi (no, le chicche le presi solo anni dopo) nella parte della giovane ragazza in stato d’imbarazzo (stato che io non ho mai provato, in ogni senso) saltellando sugli stivaloni con zeppa. Mi divertivo ad andare al pub con la pancia per scandalizzare la gente bevendo e fumando. Ricordo che una gentile cameriera mi disse con accento dublinese: ‘Hey luv, you shouldan’t drink and smoke’ My answer: ‘No worries dear, it’s a fake!’.
Poi giunse il giorno del giudizio. Per lui. Lo chiamai al telefono, erano mesi che non sentivo la sua voce, e gli imposi di presentarsi a casa mia per discutere di ‘a very serious matter’. Al primo appuntamento mi diede buca. Big mistake, perché non fece altro che pompare la mia ira funesta e convincermi a perseverare nella mia missione vendicativa. Al secondo tentativo, l’allocco abboccò. Ricordo bene l’attesa del suo arrivo. Ero in preda a un’ansia motoria irrefrenabile, che la mia compagna di merende, Sara, tentava di placare con il metodo recitativo Stanislavskij (“Entra nella parte, sei una donna incinta che è stata abbandonata” mi ripeteva ligia lei mentre io tracannavo bourbon per mitigare la tensione). A un certo punto sentii bussare alla porta. La pancia che indossavo era fatta di plastica e scricchiolava muovendosi. Per ovviare al problema acustico ed evitare di fare una magra surreale facendomi sgamare da subito, sparai a palla la colonna sonora del musical Hair (ero hippie all-the-way). Quando Sara aprii la porta per far entrare il malcapitato Rohan (nome di chiare origini irlandesi), io ero acquattata in poltrona con il pancione. Quando lui entrò in sala e mi vide, sbiancò oltre il canonico pallore Irish. Sembrava un candido lenzuolo. E le sue prime, polemiche, parole furono un delicatissimo “It’s not fuuuucking mine”. Altrettanto delicata, risposi: “SIT THE FUCK DOWN AND LISTEN YOU WANCKER!”. (Traduzione: “Cazzo non è mio” – “Siedi quel fottuto culo e ascolta, coglione!”). La mia amica Sara aveva ragione. Ero entrata nella parte e non c’era santo in terra irlandese capace di farmici uscire prima di avergli riversato contro uno tsunami vendicativo. Povero Rohan … Ne fu travolto. E stravolto. Mi lanciai in un magistrale monologo, che mi avrebbe fatto vincere Oscar, Grammy, SAG Award e quant’altro se mai l’avessi recitato in un film, dove gli dissi che sì il padre era lui ma no, non avrebbe dovuto preoccuparsi perché il figlio era mio e lui non avrebbe mai visto il pupo. Se per questo nemmeno io! “You will never ever see this baby because you are a fuuuucking loser!”. A ogni mia minacciosa parola, potevo vedere il ‘piccolo Ronnie’ sprofondare sempre più in poltrona e nell’angoscia. Si morsicava le dita, sudava freddo, balbettava … E io godevo tronfia e vincente del suo stato demente. Dopo oltre un’ora, con ormai l’intero soundtrack di Hair in loop, la mia performance volgeva al termine. Terrorizzata all’idea che l’ormai schiantato-nel-fiore-degli anni irlandese si avvicinasse per palparmi il pancino, scoprendo così il famelico trucco, in una mano brandivo un coltello. Sì, lo so un tantino eccessivo e da parlarne con un esperto della psiche. Lo feci con gli strepitosi risultati che potete cogliere ora. Gli dissi pure: ‘If you dare touching my baby, I am going to stab you’. Prova a toccare mio figlio che ti accoltello. Ormai il personaggio era entrato in me, fin nell’utero! Mesto e sconvolto, il piccolo Ronnie intraprese la strada per la porta congedandosi con un semplice ‘See Ya’. Seeee a sorreta See Ya. Non appena chiuse la porta dietro di sé, Sara balzò fuori dalla stanza dov’era rimasta ad ascoltare (ecco fossimo stati ai tempi nostri avremmo sbancato YouTube con un video dell’accaduto) e corse ad abbracciarmi, accartocciando la fake belly. Scoppiammo entrambe in una fragorosa risata. Lo scherzo era andato a ottimo fine. Rohan ci era cascato in pieno. E mo’ che fare? Immaginando che sarebbe andato dalla sua famiglia in lacrime, non mi preoccupai di uscire, raggiungerlo e dirgli ‘Ops, it was a joke!’ (Scherzetto!). E fu così che lo scherzo proseguì per due giorni. Sì, perché la sua famiglia, che era al corrente della mia vendettina (mi avevano sempre adorato, inoltre avevo beccato suo fratello in un pub e avevo iniziato a frequentarlo. E non giudicatemi: di fratelli ne aveva cinque e sono uscita solo con due), lo aspettava per tranquillizzarlo ma Rohan scomparve. Ancora oggi (siamo tornati amici) non è dato di sapere dove cazzo sia stato ma io un’ideina me la sarei fatta: se di punto in bianco la tua matta ex italiana ti si para davanti con pancione da nove mesi e ti comunica che diventerai padre ma senza esserlo mai, secondo voi cosa farebbe un ventenne, perlopiù irlandese? HELLOOO … PUB! Andrebbe a tramortirsi di alcol fino all’oblio dei sensi. E della memoria. Presentatosi finalmente a casa dei suoi, sballottato e rintronato dai bagordi etilici il povero Ronnie fu accolto dalla frase “Rohan, Roberta’s parents are in Dublin searching for you” Ossia: ah bello sono arrivati i genitori della zoccola a cercarti. Fu allora che Rohan, prostrato oltre ogni limite, si lasciò andare alla disperazione scoppiando a singhiozzare. A quel punto gli fu svelato che no, non sarebbe diventato padre, che no, non ero incinta e che no, la mia panza non conteneva un bambino ma tutto il mio risentimento per essere stata mollata all’aeroporto tipo bagaglio non reclamato. E indovinate un po’ dov’ero io mentre tutto questo succedeva? Felice, leggiadra e serena sulla costa atlantica irlandese nei peggio pub di Galway a festeggiare inebriata e ubriaca il successo della mia impresa.
Quindi il morale della favola è: se vi torcono un capello, attendete, meditate, progettate e poi affondate la lama nel nemico con precisione chirurgica. Fallo!
PS ultima chicca: io e Rohan non eravamo mai andati ‘all the way’, fino in fondo, a letto. Quindi era piuttosto impossibile che fossi rimasta incinta. Ecco, questo dimostra quanto l’educazione sessuale irlandese fosse scadente. Ma di assoluta utilità per la mia beffarda vendetta!
ROBBIE IN VERSIONE IRISH NEGLI ANNI NOVANTA (quello nella foto con me, tagliata perché il sotto é molto osé, è papà Ronnie!)
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