Il memoir dedicato alla vita e agli amori bollenti di Mary Astor è finalmente una graphic novel!
Hollywood non è certo nuova a scandali sessuali e l’affaire Weinstein è solo una delle pruriginose storie che ci arrivano dalla mecca del cinema americano. Ma già all’inizio del Ventesimo secolo quando stavano nascendo i grandi studios cinematografici sulla West Coast le storie succulente e sessuali attizzavano il pubblico, curioso di scoprire gli altarini dei suoi beniamini. Nel libro I Diari Bollenti di Mary Astor è raccontato il primo vero scandalo a luci rosse di Hollywood che vide protagonista, suo malgrado, la bella e brava attrice Mary Astor che era solita annotare su un diario, chiamato in inglese The Purple Diary, le sue scorribande adulterine corredate anche da spietati giudizi sulle prestazioni dei suoi amanti. La scoperta del diario da parte dell’odioso marito finì per trascinarla in tribunale dove Mary dovette difendersi strenuamente per mantenere la custodia dell’amata figlia, attaccata dalla stampa, dalla morale e anche dagli stessi ipocriti studios.
Nel 1965 Edward Sorel, illustre illustratore newyorchese – tra i fondatori della grafica americana insieme a Milton Glaser (inventore del logo per eccellenza ossia I heart NY) e Seymour Chwast, con cui fondò i Push Pin Studios – stava sistemando il nuovo appartamento sull’Upper East Side quando nel sollevare il linoleum marcio della cucina trovò una pila di giornali usati per pareggiare le assi. Erano tutti numeri del Daily News e del Daily Mirror, tutti datati 1936. Sulle prime pagine teneva banco quello che fu il più grosso scandalo a luci rosse di quegli anni. La storia di un processo che travolse l’attrice di Hollywood Mary Astor, allora all’apice della carriera. Lo scandalo fu così torbido da rubare la scena persino a Hitler e Mussolini sulle pagine dei quotidiani. Ebbene, cos’aveva combinato la bella e brava Mary dall’aspetto demure e perbene per finire a essere definita una donna scostumata e una madre snaturata? In quale abisso di depravazione si era cacciata la ragazza di origini tedesche nata nell’Illinois?
Dall’articolo L’Altro Processo a Luci Rosse che Travolse Hollywood di Letizia Muratori:
Mary Astor a partire dal nome è un po’ bluff, un nome dal retaggio aristocratico che le è stato dato per caso. Mary è vittima di un padre, crucco insopportabile, emigrato in America con la certezza di fare i milioni che, dopo un fallimentare allevamento di polli, decide di puntare sulla bellezza della figlia, che non può non diventare una stella del cinema. Mary è vittima di una madre ombra, che però la detesta. E’ vittima soprattutto della sua debolezza. Crede a chiunque, in qualsiasi cosa, tranne in se stessa.
Barrymore che dovrebbe fare la parte del seduttore di ragazzine, e la fa incartandosi una giovanissima Mary che lo affianca in Beau Brummel, Jack, il più grande attore shakespeariano d’America, che per primo di sé dichiara: “Perdonami, Goffina, sono un gran figlio di puttana”, quando si defilerà non risulta poi tanto condannabile.
L’atteggiamento servile che Mary ha nei confronti dei suoi meschini genitori lo ha sfinito, stare con lei lo condannerebbe a una vita in salotto con Otto, il papà crucco, che inneggia alla superiorità della cultura tedesca, senza perdere mai d’occhio il portafoglio.
Mary è una che fa cadere le braccia: non si sente un’attrice, e diva solo una volta, in un treno, dove trova mazzi fiori ad attenderla. Non si sente nemmeno una macchina da soldi, ma una specie di impiegata da set. A sentire Sorel, era un’attrice straordinaria, a sentir lei, una che mirava solo a preparare la cena al maritino di ritorno dal lavoro. La verità sta come sempre nel mezzo, e infatti la cacciatrice di maritini rassicuranti ha qualcosa che non le funziona nella testa, un tratto autentico d’artista, e di maritini ne colleziona uno peggio dell’altro.
Il primo la ama, forse, d’altro amore, per usare una metafora adatta ai tempi. Gelido, senza mai averla sfiorata, il primo muore, lasciandola nella più cupa disperazione. A questo amico, e solo amico, Mary pare avesse voluto bene. La conseguenza della morte improvvisa di lui è l’alcol, l’isolamento e la malattia. La giovane vedova, in seconde nozze, sposa il medico che l’ha curata. Il peggiore affare della sua vita, è lui l’uomo che la trascinerà in tribunale. I due hanno una figlia, entrambi si annoiano terribilmente a vicenda. Mary, tra un filmetto a cottimo e l’altro, fugge a New York per una breve vacanza e qui incontra George S. Kaufman, un nome che magari a qualcuno dice poco, ma che è stato un pilastro di Broadway.
Noto nel giro come un rarissimo esemplare di ninfomane maschio, George era uno scopatore compulsivo, un igienista patofobo, ed era sposato nel più indissolubile dei modi: il matrimonio libero. Sia lui che la moglie per il sesso si rivolgevano altrove, ma solo per quello. Per di più frequentava la cricca, insopportabilmente pallosa e boriosa, dell’Algonquin. Però questo soggetto cui qualsiasi donna sensata, come qualsiasi sciacquetta hollywoodiana, avrebbe dato l’importanza che meritava, aveva un enorme pregio agli occhi di Mary: non le faceva i conti in tasca. Due pregi: col secondo la portava al raggiungimento di ripetute estasi.
Le pagine del suo diario, dopo e durante l’affare Kaufman di cui Mary era la donna del giovedì, divennero bollenti e piene di particolari piccanti anche su altri pezzi da novanta dell’ambiente. Essendosi scoperta all’improvviso una pantera del materasso, Mary prese a stilare pagelle prestazionali sui suoi amanti, e pare che certi seduttori, messi sotto contratto dagli Studios, non ne uscissero tanto bene. Questa lesione di immagine virile spaventava a morte gente come Samuel Goldwin, Louis B. Mayer, Irving Thalberg, Harry Cohn, Jack Warner e Jessy Lassy. Forse una delle scene più belle del libro è quella in cui Mary affronta a testa, quasi alta, i boss di Hollywood riuniti. Samuel Goldwin che ai tempi del processo era il suo produttore e con cui Mary stava girando “Infedeltà” la difenderà a sorpresa, mosso più che altro dall’odio feroce per il suo nemico giurato: Mayer, il paladino della morale che era solito praticare il casting per vie orizzontali. Una donna sola in mezzo ai leoni: niente di più adatto alla sensibilità cavalleresca di Sorel.
Woody Allen quando ha letto della scoperta fatta da Sorel, ha scritto sul New York Times un articolo (tradotto qui per La Repubblica) dove dice aver fatto lo stesso con casa sua ma di aver trovato solo spazzatura: La vita è terribilmente ingiusta. Anni fa, quando rimossi il vecchio linoleum di un appartamento malmesso che avevo preso in affitto, ci trovai sotto soltanto “schmutz”: schifezze assortite, chewing-gum solidificato e la matrice strappata di un biglietto per la pièce teatrale Moose Murders. Ed Sorel invece rimuove il vecchio linoleum del suo appartamento e ci trova sotto giornali ingialliti con titoli a tutta pagina su uno scandalo, che gli hanno fornito materiale per un libro stupendo.
Un’altra delizia che Sorel regala nel libro è una citazione di Dorothy Parker, graffiante e spietata “gola profonda” della scena letteraria newyorchese: disgustata dalla spazzatura che sfornavano gli studios hollywoodiani, la Parker sosteneva che Mgm stava per “Metro- Goldwyn-Merde”.
Adesso mi metto alla ricerca del mio diario segreto corredato da foto e spietati voti sui miei amanti … Che Milano, e non solo, inizi a tremare!
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