Il sesso non prospera nella monotonia. Senza sentimento, invenzioni, stati d’animo non ci sono sorprese a letto. Il sesso deve essere innaffiato di lacrime, di risate, di parole, di promesse, di scenate, di gelosia, di tutte le spezie della paura, di viaggi all’estero, di facce nuove, di romanzi, di racconti, di sogni, di fantasia, di musica, di danza, di oppio, di vino.
(“Il Delta di Venere” di Anaïs Nin)
Nel mese di maggio, il mio rituale di viaggio contempla una fuitina al sud, imbarcandomi su una nave a Napoli e facendomi trasportare, con andamento lento, nella mia amata isola vulcanica, dove me la spasso a interpretare il personaggio della milanese stronza e snob. Una novella Raffaella Pavone Lanzetti, interpretata da Mariangela Melato – non me ne voglia la compianta e straordinaria attrice – nel leggendario film dove faceva ammattire e poi innamorare il povero marinaio Carunchio, un impeccabile Giancarlo Giannini, quando entrambi finiscono spiaggiati su un’isola disabitata. Pertanto, mi sono ritrovata travolta da (in)solita passione nell’azzurro mare strombolano di maggio: solita perché ormai sono talmente usa alla mia cronica ricerca di sensazioni forti da crearmele persino da sola; tuttavia, insolita perché questa volta non sto ballando da sola, ma i passi dell’erotico tango li seguiamo in due, stretti, appassionati e frenetici. Tuttavia, come sempre quando sbarco sull’isola, i primi giorni sono stata impegnata in altro; o meglio, in altri. Poi placata la sete da sbarco, mi sono fermata e riposata ed è lì che L. mi ha stanato. Il mio compagno d’avventure, e merende, isolane è un fascinoso e vanitoso cinquantenne, con capelli lunghi e barba incolta, impegnato nelle arti, per la precisione attore teatrale e cinematografico, giunto sull’isola per girare un film. Su una piccola isola a maggio qualsiasi novità è presto fonte di curiosità e nelle mie peregrinazioni mi è capitato più volte d’imbattermi in lui sul set o d’incrociare i nostri sguardi in giro per i vicoli. Ci siamo annusati e studiati per giorni prima di rivolgerci la parola. Ah le sue parole …. Mi hanno sedotto, insieme al suo fascino, e sono diventata preda, consapevole e volente, di un’adorabile canaglia, un attore, professione perfetta per i farabutti, perché consente loro di mentire per mestiere, quindi il rischio di tonfo con questi simulatori è elevatissimo, anche per noi femmine scaltre. L. è un pellegrino vagabondo, sempre sul bicchiere, bugiardo cronico, affabulatore dalla voce suadente, seduttore e bastardo navigato con tanto di patente. Il genere di uomo che fa perdere la testa, i sensi e la lingerie in una sola battuta, conducendoti in un’avventura cinematografica, esaltante ed estenuante, una maratona di parole e sesso, un fuck-festival di gusto decadente. Complice l’esplosiva cornice del nostro primo incontro, la maliarda isola di Stromboli, la nostra passione è divampata da subito eccessiva ed estrema. Il nostro primo dialogo è avvenuto in un bucolico wine-bar isolano/isolato, situato in un giardino con orto affacciato sul vulcano: L. è seduto a un tavolino da solo, io sono in compagnia di un leggero libro intitolato Piccoli Amori di Franziska zu Reventlow. Sono io ad attaccare bottone (strano, vista la mia proverbiale timidezza!). “Dovrebbe salire sul vulcano. E’ un’esperienza unica,” gli dico. L.: “Preferisco evitare di cacciarmi su sentieri pericolosi. Ma del resto, sto parlando con lei …” Io, divertita e combattiva, rispondo: “Le posso assicurare che tra i due sentieri, quello per il vulcano è in assoluto il meno impervio.” L., accennando un sorriso, controbatte: “Non nutro alcun dubbio in proposito.” Il mio istinto animale ha riconosciuto una comunione di lussuriosi sensi, un’alchimia carnale pronta a esplodere, mentre il mio ventre già pulsava di desiderio. Quel pulsare che si origina quando la mia chimica reagisce con i giusti ingredienti; chimicamente sono compatibile con molteplici ingredienti … Sono iper-reattiva nel midollo. Ci presentiamo, rimanendo ognuno seduto al proprio tavolino, forse perché, consapevoli della vibrante attrazione, sentiamo di dover mantenere le dovute distanze. Il giorno dopo ricevo una sua telefonata mentre mi preparo a scendere in locanda dalla mia cocente terrazza, qui rubando l’ispirazione al film La Gatta Sul Tetto che Scotta, ma trovandomi, appunto, su un set cinematografico, rapita dalla furente passione per quest’uomo, la mia mente, e non solo, inizia a sentirsi protagonista di un film tutto suo, ovviamente vietato ai minori e a luci rosse intense. Sento la sua voce al telefono mentre, al tempo stesso, riecheggia in aria: L., infatti, mi sta chiamando proprio da sotto le scale che conducono alla terrazza. Allora, lo saluto e gli faccio cenno di ‘venire’ su; sale, gli mostro la mia ariosa stanza arredata con antichi mobili siciliani e grande letto con spalliera in ferro battuto. Non sembra granché interessato al décor e, nel giro di brevissimi convenevoli, si avvicina per baciarmi. Colpo di scena: io mi scosto. L. torna alla carica. Io mi scosto e dico no; prova a mettermi le mani nei pantaloni. Le allontano. Dico no. Lui non molla la presa, riprende a baciarmi e cedo all’irresistibile tentazione, capitolando nella sua diabolica rete. E poi … non ho la minima idea di cosa mi sia preso o ci sia preso; o forse lo so. I nostri istinti animali, vigili e attizzati dall’energia dell’isola, aperti e liberati dal vulcano, trovano la perfetta valvola di sfogo. Lui mi abbassa i pantaloni mentre la mia resistenza si va opponendo sempre meno. Appoggio entrambe le braccia al muro, in una sorta di fasulla difesa. Non ci si appoggia a un muro rivolgendo le spalle al nemico se in realtà non si nutre il perverso desiderio di arrendersi. Presa. Sottomessa. Umiliata. Punita a colpi di lussuria. Mi scosta le mutande, si abbassa la cerniera, lo tira fuori, se lo mena, si porta le dita in bocca, le inonda di saliva, me le infila tra le cosce, brandisce il cazzo umido e mi penetra. In culo. Così a secco, senza lubrificazione, senza preliminari. Emetto un grido e cerco di scostarlo. Lui lo spinge dentro ancora di più e con una mano mi tappa la bocca. Lui continua a stantuffarlo. E ogni mio liquido ne esce liberato, non c’è un buco che non sia inondato di effluvi di piacere. Ed è lì che abbandono qualsiasi resistenza e mi lascio, arrendevole e arrapata, riempiere da un atto che da molto tempo non praticavo e non concedevo più. La sodomia è un’arte. Per chi la pratica e per chi la riceve. E quando quest’arte è affinata, si trasforma in sublime piacere sbocciato dal dolore. La beatitudine non è uno stato che si genera in assenza di dolore. Au contraire: la beatitudine è quell’assaggio di paradiso che si prova dopo il dolore. Trovo sollazzo nel dolore ed estasi nella conquista. Tutto nasce e muore qui: negli antri del buco del culo. Non c’è alcuna procreazione nella sodomia, esiste solo resa, sottomissione, annichilimento. La figa è procreazione; il culo è arte. Quando sei così sedato da tutto il fuoco che ti sei sempre acceso e alimentato intorno, cerchi solo la sensazione ulteriore, la più scottante, ovunque essa ti conduca per martirizzarti. Giocare con il fuoco è rischioso, eppure inevitabile per anime pellegrine e stralunate, da espiare sottoponendosi alle compulsioni imposte dalla propria vita, abbandonando ogni riserva. Mi eccita l’idea di essere sodomizzata con tanta veemente disperazione. Il suo uccello mi libera da qualsiasi remora, sfondandomi gli ultimi recinti. Da anni non godevo così intensamente della sodomia; una rivelazione anale. Forse il mio neurotrasmettitore cervello – fica è invece, bizzarramente, collegato cervello – culo. Chi lo sa? Un po’ come Linda Lovelace la protagonista di Gola Profonda, alla quale diagnosticano il clitoride in gola: forse il mio è conficcato nella porticina sul retro. Insomma, ‘nessuno è perfetto’ (frase finale di A Qualcuno Piace Caldo) per citare un altro, questo sì, straordinario, film. Io e L. abbiamo imparato a conoscerci scopando come dannati, ovunque e comunque. Il nostro è il linguaggio dei corpi; le parole ci accompagnano nude e crude. Ben coscienti entrambi che solo c’è concesso questo scampolo di perverso amore sull’isola. La medesima cornice rende il tutto ancora più incandescente. Non per nulla ci troviamo su un vulcano attivo. E stiamo facendo sesso. Tanto. Ferino. Istintivo. Viscerale. Non è solo sesso. Con me di rado ci si limita solo a quello. Io lo condisco sempre di surreali cangianti fugaci tonalità. Lo profumo di unicità e immediatezza. L. rappresenta un rito di passaggio di altissimo livello, il mentore anale del mio nuovo percorso. Questo è il gioco che io ho consapevolmente scelto di seguire, conoscendone le regole, accettandone i rischi, mettendo a nudo le viscere più recondite. Fermarsi una pia illusione. La mia natura m’impone di proseguire sul sentiero. Fino alla prossima deviazione …