Nel 1977 la mia attrice dell’anima, la straordinaria Diane Keaton, è protagonista di due film che, in maniera diversa, mi rappresentano nel profondo: il primo è l’acclamato Io & Annie (qui l’esilarante e toccante scena finale con la teoria di Alvy, il protagonista, sull’amore come la gallina e le uova…) di Woody Allen (Oscar come Migliore Film, l’unico mai conquistato dal temibile Jew che detesta Hollywood) nel quale Diane interpreta la buffa e nevrotica Annie Hall, ruolo che sembra esserle stato cucito addosso dal regista, suo compagno all’epoca. L’altro è il ben più sordido e drammatico Looking For Mr.Goodbar, nel quale Diane diventa Theresa Dunn, una giovane donna dalla doppia vita che di giorno insegna ai bambini sordomuti e di notte scorrazza per locali alla ricerca di uomini con i quali avere incontri sessuali brevi e appassionati (regola della casa: no sleeping over, ossia si scopa e e te ne vai. Stessa mia regola nelle mie passate notti selvagge). Il film è ambientato nella New York dei tardi anni Settanta, culla della disco music (sempre del 1977 è il leggendario La Febbre del Sabato Sera) e della rivoluzione sessuale, favorita anche dall’arrivo della pillola contraccettiva. Il film introduce sullo schermo per la prima volta due attori che diventeranno sex-symbol negli anni Ottanta: Richard Gere e Tom Berenger. Quel gran bel pezzo di Gere interpreta il ruolo di uno street-hustler, ossia un gigolò, ben prima di conquistare donne e uomini in una delle sue interpretazioni più leggendarie in American Gigolò del 1980.
Tratto dal romanzo Looking For Mr. Goodbar di Judith Rossner (1975) e basato su un tragico fatto di cronaca avvenuto in quegli anni a New York quando Roseann Quinn, all’epoca insegnante 27enne, fu stuprata e uccisa da un amante occasionale, il film ci conduce nel ventre sotterraneo delle notti infuse di alcol, cocaina e quaaludes, popolate da spacciatori e animate da gay. L’omicidio della giovane ragazza rappresenta il lato oscuro della rivoluzione sessuale, tema che fa vibrare diverse corde nel mio animo. In quanto donna libera e liberata, talvolta anche spensierata, nonché sconsiderata, mi è capitato di fare ‘bar-hopping’, ossia di rimorchiare nei bar, e di concedermi scappatelle notturne con perfetti sconosciuti. In una spasmodica ricerca di emozioni forti, pulsioni infuocate e notti disperate, avvertendo il pericolo dell’anonimato quale motore sessuale, assaporando il pericolo come fonte d’eccitazione. Senza dubbio un ‘hobby’ rischioso e disapprovato dalla società (nei confronti delle donne con il solito fottuto doppio standard, di cui ho già scritto qui) perché immediata scaturisce la critica nei confronti di una donna di liberi costumi: se l’è cercata. Ho volutamente scritto liberi e non facili costumi perché citando Simone de Beauvoir “Una donna libera è il contrario di una donna facile (leggera)”. Ci vuole coraggio, tempra e un pizzico di insana follia per abbracciare il proprio individuale percorso di vita, indipendentemente da dove esso ti conduca. Le mie deviazioni sono state molteplici, talvolta rischiose, ma essenziali per forgiare la persona che sono oggi. La mia insensata e disperata ricerca di auto-affermazione sessuale mi permette oggi di scriverne e di vivere una vita appagante e piena. Io, come Theresa Dunn, aka Roseann Quinn, ho avuto incontri fugaci ed estremi e come loro, mi sono trovata a dover gestire amanti intossicati e aggressivi. Io sono solo stata più fortunata. Sento di voler condividere ora un episodio del mio passato che mi ha profondamente segnato, ossia la prima, e spero vivamente ultima, volta che ho rischiato di essere violentata. Lui l’avevo ‘conosciuto’ al parco. Sembrava un ragazzo a posto malgrado uno sguardo indagatore che all’inizio interpretai come intrigante. E dire che sono un’interprete di professione e avrei dovuto ‘know better’. La stessa notte, in preda ai fumi dell’alcol, lo chiamai perché mi raggiungesse a casa. Quindi gli diedi l’indirizzo ma poi l’incontro non si fece. La mattina dopo ancora rintronata dai bagordi notturni, sentii il citofono squillare. Era lui. Ritornata in me, mi domandai cosa diavolo fosse venuto a fare alle otto del mattino. Ancora una volta il mio cervello doveva essere in corto circuito. E commisi quello che avrebbe potuto essere il più grave errore della mia vita: aprii la porta. Immediatamente appena rividi il suo sguardo dentro casa, fui colta da un acuto fremito di paura. Lo sguardo non era intrigante bensì inquietante. Chiuse la porta dietro di sé e a me non rimase che comportarmi come se non ci fosse alcun problema onde evitare di scatenare quella che sulla mia pelle percepivo come una situazione ad alto rischio. Siamo animali e abbiamo dentro di noi un sesto senso che ci fa avvertire il pericolo ancora prima che si manifesti e io mi trovavo davanti a un predatore. E io preda mi ero andata a cacciare nella sua trappola, addirittura invitandolo nella mia ‘gabbia’. Tentò subito di baciarmi e lo lasciai fare, impietrita. Il mio corpo tremava. Lo scostai sorridendo e chiedendogli di darmi il tempo di rassettarmi e di vederci nel pomeriggio. “Va bene,” rispose. “Solo fammi vedere la casa”. La casa consisteva di un salotto e una cucina a vista, dove lui si trovava. Quindi, a meno che volesse vedere il cesso, mi stava dicendo di fargli vedere la camera da letto. Ricordo come fosse adesso il percorso di pochi passi che ci divideva dalla camera da letto. Terrore è la parola che mi salta alla mente. Ero terrorizzata ma altresì paralizzata. Aprii la seconda porta. Lui mi prese tra le braccia muscolose e mi buttò sul letto. In quel preciso e ahimè indimenticabile, con accezione puramente negativa, sentii di essere spacciata. Non potevo opporre alcuna resistenza. Era ben più forte di me, massiccio e strano. La paura della violenza fu solo superata dal terrore che mi facesse anche di peggio. L’avevo rimorchiato io. L’avevo invitato io. Io gli avevo aperto la porta. Io ero responsabile del mio tormento. Iniziò a toccarmi e baciarmi, muovendosi su di me con foga. Non so come riuscii a trovare il coraggio di fermarlo, rinnovando l’invito a incontrarci più tardi. Mi guardò fisso negli occhi con quello sguardo che non dimenticherò mai perché in quell’istante il pendolo della mia vita oscillava pericolosamente tra due possibili soluzioni: stupro/salvezza. E mi lasciò andare. Trafelata e tremante, cercai di nascondere il mio vero stato d’animo e lo accompagnai alla porta. Quando finalmente riuscii a farlo uscire, chiusi a doppia mandata la serratura e mi accasciai inerme a terra, devastata da un’irrefrenabile crisi di panico. La mia fortuna, il mio fato, il mio angelo custode, il mio culo, chiamatelo come cazzo volete, venne in mia salvezza. Non lo rividi mai più e per diverse settimane fui terrorizzata dall’idea di trovarmelo nei paraggi. La vita è fatta di scelte e di errori. Scelsi di sbagliare. Fui graziata dall’epilogo che avrebbe potuto devastarmi per sempre. Non smetterò di concedermi la libertà di vivere la mia sessualità ma le mie antenne sono più acute che mai e la mia incolumità oggi è intoccabile. Siate frivole e leggere. Ma abbiate cura e rispetto di voi. Come mio solito, ero partita con l’idea di raccontare altro e poi ho intrapreso una deviazione. Tuttavia vagabondare dal sentiero della vita è la mia linfa. Non vorrei né potrei vivere in altro modo. E sapete una cosa? Io sono felice così, incosciente talvolta ma molto coraggiosa. La prossima volta vi racconto di quando venni a New York la prima volta da sola a 16 anni … Correva l’anno 1986.
Comunque la morale della “favola” è anche affrontare i vostri demoni, tirarli fuori e parlarne. Non è stato facile scrivere questo inquietante episodio del mio passato ma lo dovevo a me stessa. E a chi mi legge.
La canzone Bad Girl, ragazzaccia, di Madonna è ispirata al caso di Roseann Quinn
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