Oggi in data astrale 21 agosto 2017 a New York e nel resto degli Stati Uniti, da Est a Ovest, su un raggio di 4000km, si è verificata un’eclissi solare totale, subito denominata The Great American Eclipse perché si sa che gli americani amano tutto bigger. Qui a New York l’eclissi era visibile solo al 71% e ha raggiunto il picco alle 14.44 ora locale, nell’asfissiante caldo di agosto nella giungla urbana. Da lesta reporter quale sono mi sono immediatamente preparata all’evento, trovandomi appunto sul campo, o meglio sulla camporella, qui a Manhattan, infilandomi nella subway alla volta dell’American Museum of Natural History dove ho ingenuamente pensato di scavallare la caotica massa di avventori al grido “press”, sventolando la mia carta d’identità dove è riportato che di professione sono giornalista. Avrei anche potuto scrivere danzatrice del ventre per quello che mi è servita quando sono stata rimbalzata dalla serissima guardia del museo. Ovviamente non mi sono lasciata scoraggiare e infischiandomene di vedere l’eclissi nel tempio della scienza, ho portato le mie sode ciapet milanesi (qui a New York si macinano chilometri su chilometri a piedi ed è il fitness migliore in assoluto) su Central Park, antistante il museo. L’aria umida ma ventilata di questo fine agosto newyorchese era oscurata da qualche nube e tutto intorno a me nella foresta verde di Manhattan orde di locali e turisti sciamavano alla ricerca del miglior luogo da cui assistere all’evento. Quest’eclissi di sole, la prima eclissi solare totale ad accadere negli Stati Uniti da quasi un secolo, l’ultima, infatti, ebbe luogo nel 1918 e fu visibile dalla costa atlantica fino a quella pacifica, ha richiamato milioni di persone in tutto il paese che munite di appositi occhialini hanno ammirato questo spettacolo del cielo. Questo fenomeno mi ha riportato alla mente la canzone anni Ottanta Total Eclipse of the Heart di Bonnie Tyler, che oggi ho ascoltato in loop per tutto il giorno. Chicca dagli States: la cara vecchia Bonnie ha monetizzato l’evento solare facendosi ingaggiare per cantare la sua storica hit su una nave da crociera. Smart Bonnie.
Non credo fosse un caso fortuito che mi trovassi qui ad assistere e a riportare l’ennesimo fenomeno naturale estremo e portentoso accaduto sulla “mia” amata isoletta di Manhattan. Sono, infatti, oltre 25 anni che ho eletto, e a-letto (Per quest qui non si dorme mai…), questa città a ruolo di mio amante, rimanendo infedelmente sposata con Milano, il mio noioso ma confortevole marito. Nelle mie peregrinazioni niuorchine, ho anche sperimentato un terremoto, che seppur di lieve intensità, ricordo mi fece sobbalzare la noodle-soup che mi stavo pappando a Chinatown. Uscimmo tutti in strada con lo sguardo rivolto al cielo perché qui a New York, zona non sismica, un grosso scossone tellurico riporta alla mente un evento ben più catastrofico, quale fu il terribile 11 settembre. Il terremoto avvenne nell’agosto del 2011. Solo qualche giorno dopo, precisamente il 29 agosto, New York sarebbe stata colpita dall’Uragano Irene. E allora feci un vivace e allegro reportage fotografico per il Corriere della Sera, dettagliando come i newyorchesi si stavano preparando, sempre cool e scafati, al primo uragano che avesse mai colpito l’isola di Manhattan. Ricordo con precisione l’inquietante visione del Greenwich Village semideserto di sabato pomeriggio. Bisognava evacuare le zone adiacenti i fiumi a rischio inondazione e per la prima volta dall’11 settembre i ponti, i tunnel e le linee metropolitane furono chiusi. Insomma, se non si lasciava l’isola di Manhattan entro mezzogiorno di quel sabato d’agosto, si era intrappolati con una sensazione che mi fece pensare a 1977 Fuga da New York. Ma la sottoscritta, detta anche Robbie Plinksy, rimase sull’isola non fosse altro perché qui tengo ‘famigghia’ che a sua volta ha un ristorante e sapevo che non sarei rimasta a secco di cibo e vino. Del resto, durante le catastrofi naturali ci si concedono tanti vizi e stravizi. L’uragano Irene passò senza causare troppi danni a Manhattan ma non scorderò mai quel cielo umido e soffocante che sapeva di tropico. In un’ansiosa attesa del peggio che si sarebbe avverato solo con l’arrivo l’anno dopo, nel 2012 (questa volta io non c’ero) del disastroso Uragano Sandy, che allagò le linee metropolitane, lasciò il downtown di Manhattan al buio per diversi giorni a causa dei danni alla centrale elettrica e causò diversi morti. Sarei curiosa di sapere perché diavolo a questi uragani diano sempre nomi femminili. Attendo quindi di averne uno dedicato a me perché da sempre sono soprannominata vulcano, uragano, ciclone e via dicendo. Ormai quando viaggio sono tenuta a informare la protezione civile, qui chiamata FEMA.
A questo punto mi domando cosa mi debba aspettare in futuro nella città ancora più elettrizzante e “lunatica” al mondo. Io tifo per King Kong … Oddio anche per King COCK
NB. Ho girato diversi video che potete trovare sulla mia pagina FB del blog. Non so come caricarli qui. Gina cosmica e l’eclissi solare mi ha ulteriormente eclissato la mente. Mental Robbie.
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